Gret Haller
Nuovo Occidente – Le relazioni transatlantiche dopo la guerra in Iraq
Il Regno, Quindicinale di Attualita e Documenti, No.8, Bologna 2003

Scrivo queste righe nei primi giorni della guerra in
Iraq. Mi rifiuto di concedere qualsiasi attenzione a
quella che potremmo chiamare la logistica di questa
guerra. Attraverso i canali televisivi, oggi, non è
possibile l,approfondimento concesso invece dalla
radio e dalla stampa, attraverso cui si accede agli
avvenimenti in forma sintetica e senza il dettaglio
imposto dall,immagine che scorre sul video. In tal
modo, mi riesce di non espormi a quella fascinazione
che la logistica della guerra esercita su molte
persone. Quello che invece per me è molto importante,
e seguo con estrema attenzione, sono le analisi dei
retroscena che riguardano l,evento bellico e come si è
potuti giungere a tutto questo. Questo articolo
vorrebbe essere anche un contributo a preparare i
tempi che verranno dopo questa guerra.

In vista degli insegnamenti che da essa si potranno
trarre, sarebbe fin d,ora già di estremo aiuto se i
vari commentatori distinguessero sempre con chiarezza
tra la descrizione dello svolgimento degli eventi e la
domanda sul suo fondamento e la sua giustificazione.
In particolare, la prospettiva di un «successo» nella
conduzione della guerra non è affatto un argomento per
il suo fondamento, né tanto meno basta a
giustificarla.

Per quanto poi possa essere importante questa
discussione, presa a sé stante essa non è però
sufficiente a preparare i tempi che verranno dopo la
guerra. Oggi si deve anche analizzare un fenomeno che
è possibile osservare solo a partire dal 1989, perché
fino a tale data la guerra fredda ne aveva
praticamente reso impossibile una chiara visione
all,analisi europea. Si tratta di quelle differenze
transatlantiche che esistono da secoli, che potremmo
dire siano presenti fin dall,inizio della migrazione
verso il Nuovo mondo. Differenze che si sono
continuamente consolidate e che, negli ultimi mesi e
settimane, sono divenute percepibili con evidenza.
Radici secolari

Dopo le guerre di religione, con la pace di Westfalia
nel 1648, l,Europa ha messo al bando una volta per
tutte ogni guerra che volesse trovare la sua ragion
d,essere in questioni religiose o morali. Dopo questa
data, le guerre non hanno avuto più un fondamento di
questo tipo: si è trattato piuttosto di guerre di
conquista condotte da parte di nazioni o, in ogni
caso, di guerre che avevano un fondamento
nazionalista.

Inoltre, con quello stesso trattato di pace l,Europa
ha ideato il diritto internazionale: un ordinamento a
cui gli stati si sottomettono attraverso un atto di
rinuncia di sovranità. Anche se talvolta solo per
brevi periodi, il fenomeno della sottomissione a un
diritto internazionale è stato pur sempre conosciuto.

In seguito, con l,Illuminismo, si è avuta la
separazione fra diritto e morale; una separazione che,
in Europa, s,impose presto. Il diritto anche quello
internazionale è moralmente neutro. Esso può ben
servire per applicare moralmente delle norme, e le
ragioni che spingono all,emanazione di queste norme
possono essere anche di natura morale (ad esempio, il
desiderio di porre dei limiti in futuro alla guerra e
alle sofferenze degli uomini). Ma quando la norma del
diritto, o un accordo di diritto internazionale, sono
entrati in vigore essi valgono per tutti allo stesso
modo: per gli uomini «buoni» come per quelli
«cattivi»; oppure, e più che mai, per gli stati
«buoni» e per quelli «cattivi» qualunque significato
si possa dare in tale quadro ai termini «buono» e
«cattivo».

Questi tre passaggi cui si è fatto cenno,
realizzatisi nel XVII secolo, hanno impregnato
profondamente l,Europa fino a oggi, e trovano la loro
base nell,inquadramento vincolante della religione
all,interno di un ordinamento statale.

Gli Stati Uniti sono nati come antitesi rispetto a
questo profilo di ordinamento. I primi padri
pellegrini puritani, che in Inghilterra erano in una
situazione di opposizione rispetto all,ordinamento
statale, vedevano l,ordinamento religiosamente fondato
delle loro comunità come la struttura dell,ordinamento
pubblico tout court. Essi rifiutavano qualsiasi tipo
di intromissione da parte dello stato, e la via verso
il Nuovo mondo ha reso possibile una realizzazione
concreta di questa loro idea di società. Essi hanno
inciso in maniera decisiva nella Costituzione degli
Stati Uniti.

Fondamentalmente, lo stretto minimalismo statale
degli Stati Uniti si basa sul fatto che, in
contrapposizione all,Europa, la forma statuale è
subordinata alla religione. Al di là dell,Atlantico,
la separazione fra Chiesa e stato vuol dire che la
religione deve essere protetta di fronte allo stato;
mentre l,Europa, già nel 1648, aveva trovato la chiave
del modo in cui lo stato potesse essere protetto
rispetto alla religione.

Questa differenza si ripercuote anche sulle altre due
conquiste dell,Europa raggiunte nel XVII secolo:
invano ci si metterà a cercare negli Stati Uniti una
separazione fra diritto e morale nel senso in cui
questa è intesa a livello europeo. E un inquadramento
vincolante di diritto internazionale, attraverso una
rinuncia di sovranità, appare essere oggi più che mai
per gli Stati Uniti un male il più possibile da
evitare.

Nel periodo che ha preceduto la guerra in Iraq,
queste differenze sono emerse con una forza che solo
un anno fa non ci si sarebbe quasi potuti immaginare.
Vi è una connessione diretta con i tre elementi
rispetto ai quali l,Europa si è confrontata, e che ha
fatto suoi nel XVII secolo: tutti e tre i lati di
questo «triangolo di storia delle idee» trovano la
loro illustrazione negli avvenimenti di questi giorni.

Le conquiste dell,Europa

Un lato del triangolo collega la subordinazione della
religione all,ordinamento statale all,accettazione di
un ordinamento di diritto internazionale. Per quanto
riguarda l,Europa, questi due elementi si condizionano
a vicenda. Un ordinamento internazionale a livello
mondiale, che sta alla base anche dell,ONU, racchiude
tutte le religioni del mondo; esso «traduce» e
«trasla» la volontà dei diversi stati e con ciò
delle diverse culture religiose all,interno di un
ordinamento che prevede la rinuncia più ampia
possibile all,uso della forza. Una volta che un simile
ordinamento è stato accettato, allora un motivo
religioso di per se stesso non può più rappresentare
un fondamento per l,uso della forza. Inoltre, tra
coloro che condividono tale ordinamento non vi è più
necessità alcuna di muoversi in tale senso.

Se invece è la religione a essere la massima suprema,
e non la forma statuale, allora deve necessariamente
rimanere possibile una guerra condotta per motivi
religiosi. L,accettazione di un inquadramento
vincolante in un diritto internazionale, a cui
partecipano anche stati che hanno un,altra impronta
religiosa e addirittura degli «stati canaglia»,
renderebbe impossibile una guerra condotta per motivi
religiosi. È per questo motivo che gli USA non
accettano tale inquadramento. Devono continuare a
esserci «i buoni» e «i cattivi», e con questi ultimi
non si entra in relazione se non guerreggiando. Il
rifiuto di un ordinamento di diritto internazionale e
la dominanza della religione su quello statale,
fenomeni che si possono osservare entrambi negli USA,
si condizionano perciò reciprocamente.

Che dopo l,implosione del blocco comunista orientale,
che aveva rappresentato per lungo tempo il principio
demoniaco, dovesse emergere subito una nuova
personificazione di questo stesso principio demoniaco
(attraverso la tesi di Huntington dello «scontro delle
civiltà») era un dato inevitabile per questo tratto
della storia delle idee statunitense.

Un secondo lato del triangolo congiunge la
subordinazione della religione all,ordinamento statale
con la separazione fra diritto e morale. Anche queste
due conquiste europee si condizionano vicendevolmente.
Dal punto di vista europeo, il dittatore iracheno
avrebbe avuto la possibilità di evitare una guerra se
si fosse sottomesso sebbene tardi e controvoglia
all,ordine di disarmo impartito dall,ONU; e questo
perché egli non era considerato né «buono» né
«cattivo» ma, semplicemente, era razionalmente visto
come «pericoloso».

Tale pericolo doveva essere rimosso con i mezzi
appropriati. Dal punto di vista degli Stati Uniti,
invece, dopo che era stato classificato come
«cattivo», al dittatore iracheno non rimaneva alcuna
possibilità di fare marcia indietro. Questo stato
delle cose si è reso palese nel fatto che qualsiasi
forma di conciliazione e tentativo di retromarcia da
parte del dittatore è stata subito qualificata da
Washington come «troppo tardiva»; e quindi fin da
principio veniva anche negata la praticabilità della
risoluzione dell,ONU.

Di qui anche la sempre nuova riformulazione della
meta di questa guerra da parte degli USA: dapprima il
«disarmo», poi l,«eliminazione» e, da ultimo, la
«democratizzazione». La ricerca quasi disperata di un
fondamento per una guerra per cui, obiettivamente, non
vi era motivo alcuno ma, soggettivamente, secondo
l,auto-comprensione nazionale degli Stati Uniti, vi
era una necessità, religiosamente determinata,
assoluta. La carente separazione fra diritto e morale
negli USA, e la dominanza in questo paese della
religione sull,ordinamento statale, si condizionano a
loro volta reciprocamente.

Da ultimo, il terzo lato del triangolo mette in
relazione la separazione fra diritto e morale con
l,accettazione di un ordinamento di diritto
internazionale. Anche qui in Europa si dà un reciproco
condizionamento fra questi elementi. L,accettazione
più ampia possibile nel mondo di un ordinamento di
diritto internazionale, che sta anche alla base
dell,ONU, in linea di principio intende racchiudere
tutti; essa non consente una suddivisione interna in
amici e nemici e funziona unicamente mediante
l,inclusività più ampia possibile. Se a questa idea si
contrappone lo schema amico-nemico, come hanno fatto
gli Stati Uniti con la loro «coalizione dei
consenzienti» (coalition of the willing), allora si
mira consapevolmente a un,esclusività e non a un
inquadramento vincolante complessivo secondo l,ordine
del diritto. I «buoni» divengono amici degli USA, e
coloro che non intendono farsi annoverare fra di essi
non sono più «buoni».

Per questa ragione vi è una connessione tra la
carente separazione fra diritto e morale negli Stati
Uniti e il rifiuto di un vincolo di diritto
internazionale da parte di questo stesso paese. La
«coalizione dei consenzienti» rappresenta un concetto
opposto a quello di un ordinamento complessivo di
diritto internazionale, come è stato pur sempre ideato
nel 1648 dall,Europa, e come viene propugnato e
sostenuto oggi dalla maggior parte dei paesi del mondo
al di là delle stesse frontiere del continente
europeo.

Parole familiari, significati diversi

Conseguenza di punti di partenza così diversi è il
fatto che molte parole utilizzate in Europa e negli
Stati Uniti, pur credendo di dire con esse la stessa
cosa, non vengono comprese affatto allo stesso modo.
Prendiamo qui in esame alcuni di questi concetti e
termini cercando di coglierne le differenze di
significato sulle due sponde dell,Atlantico.

In Europa l,identità democratica consiste
nell,elezione dei parlamenti, a cui si ha diritto in
qualità di popoli sovrani. Gli statunitensi vivono
l,identità democratica a un livello molto basso in
questo ambito; per essi tale identità consiste
piuttosto nell,avere diritti a cui ci si rifà
volentieri in ogni momento e che, o come persona
singola o in rappresentanza di un interesse di
minoranza, si possono rivendicare per vie legali
davanti a una corte. In tal modo, diritto e giustizia
ottengono negli Stati Uniti tutt,altra funzione che in
Europa: ossia una funzione politica. La democrazia
statunitense è una «lotta sui diritti», quella europea
invece una «lotta sulle leggi». Nelle istanze
politiche, e in particolare nei parlamenti, ci si
confronta e scontra in Europa sulla legislazione, e
l,ordinamento di diritto che sorge in tal modo viene
affidato allo stato. Tutto questo non è possibile
negli Stati Uniti già per il fatto che per essi lo
stato al contrario della «nazione» non possiede
una qualità etica propria. Per tale ragione in questo
paese non si dà l,idea di affidare allo stato il
diritto nella forma di un «ordinamento di diritto».
Negli USA il «diritto» rimane presso i singoli.

Negli Stati Uniti il confronto per la divisione del
potere avviene direttamente a livello orizzontale
nella società tra privati, e solo in misura molto
limitata in parlamento; ciò avviene perché ai padri
fondatori di questa nazione era del tutto estranea
l,idea di una volontà comune ragionevole, che invece
sta alla base della costituzione dello stato in
Europa. Essi volevano una società il più possibile
libera dallo stato, nella quale la distribuzione del
potere viene pattuita tra privati o, in ogni caso, tra
gruppi di minoranza; così da evitare la formazione di
maggioranze che legittimamente potessero avanzare la
pretesa di un rafforzamento dello stato. Al di là
dell,Atlantico vi è un cenno appena di coscienza
politico-statale; al posto di quest,ultima vi è però
una ben più forte coscienza «nazionale». Perciò,
secondo la visione statunitense, democratizzazione
significa tendenzialmente sempre «de-statalizzazione».

Dal punto di vista europeo, invece, la
democratizzazione presuppone lo stato; e questo nel
senso di una categoria di filosofia dello stato che va
ben al di là della questione puramente economica di
«un di più o un di meno di stato sociale». L,Europa ha
bisogno dello stato e del fenomeno della «forma
statuale» per poter custodire e salvaguardare le
conquiste raggiunte nel 1648.

Un,ulteriore differenza di significato nelle
relazioni transatlantiche si può trovare nella
comprensione della nazione. In certo modo, lungo
l,arco di due secoli, in Europa la nazione si è
insediata nel luogo della religione. Durante il
romanticismo la «nazione» era stata ideata come un
fenomeno puramente culturale, ossia come reazione a un
Illuminismo sentito troppo intellettuale. Per le idee
illuministe astratte del repubblicanesimo, la
Rivoluzione francese necessitava di un contenitore in
grado di istituire un,identità dopo la destituzione
del re quale figura di identificazione statale. Per
questo motivo in Francia il fenomeno culturale della
nazione fu trasformato in un fenomeno politico che
contribuì alla costituzione degli «stati nazionali». I
paesi dell,Europa occidentale Inghilterra, Francia,
Spagna , già da tempo formati come stati, furono
allora come colati dentro la forma della nazione
compresa in senso politico-statale.

In America, invece, fu fondato formalmente uno stato
nazionale. Ma a motivo dei rapporti fin da principio
inversi fra stato e religione, il fondamento del
sentimento nazionale non stava nell,ambito
politico-statale quanto, piuttosto, in quello
religioso. Questa differenza transatlantica è
all,opera ancora oggi, per cui le rappresentazioni
religiose si manifestano attualmente anche, e
soprattutto, in categorie morali. Le nazioni europee
si fondano sul piano politico-statale. La nazione
statunitense si fonda religiosamente e moralmente.
Nella comprensione di questa nazione il «bene», di cui
essa è garante, ha giocato fin dall,inizio un ruolo
centrale fondato religiosamente.

Da ultimo si deve fare menzione ancora di una
differenza transatlantica per quanto riguarda la
comprensione della libertà. In quanto rifiuto di forme
statali e di governo dittatoriali, e del
totalitarismo, «libertà» significa al di qua e al di
là dell,Atlantico la stessa cosa. Nella sfera della
«forma statuale» gli europei, nel corso del loro
sviluppo storico, hanno però accettato un vincolo e un
legame che, a sua volta, è garante della loro libertà.
Di questa libertà fa parte anche la «libertà
dall,obbligo di professione di fede». La forma
statuale, infatti, non pretende alcuna
identificazione, nessuna fede e ancor meno una
professione di fede nei suoi confronti: cittadini o
persone che sono sottoposti a una forma statuale,
senza godere in essa del diritto di cittadinanza,
possono sicuramente avere nei suoi confronti delle
riserve mentali, dei distinguo interiori o una
distanza ideale. Essi tuttavia devono semplicemente
attenersi ai diritti e doveri che la legge prevede per
quanto concerne il rapporto tra essi e lo stato. La
separazione fra diritto e morale li protegge da
qualsiasi obbligo di professione di fede. Negli Stati
Uniti invece la professione di fede, che ritorna
sempre, è inaggirabile; si tratta di una professione
di fede riferita alla nazione fondata religiosamente e
moralmente come si può osservare soprattutto dopo
l,11 settembre 2001. La differenza è da ricondurre al
fatto che l,Europa vede e conosce lo stato come una
dimensione terza, e che in essa lo stato va oltre i
puri rapporti orizzontali tra gli individui. Rispetto
a tale visione europea, negli Stati Uniti il ruolo di
questa dimensione terza è stato invece assunto dalla
religione.

Gli spazi di una responsabilità europea

Quello che possiamo riconoscere solo dal 1989 ha
radici che vanno indietro nei secoli. Durante la
guerra fredda la visuale era talmente impregnata da un
pensiero per blocchi, che in «Occidente» a nessuno
sarebbe potuta venire in mente l,idea di mettere in
questione l,unitarietà di questo stesso «Occidente».
Ora tale unità si è visibilmente e pubblicamente
screpolata. A una visione più ravvicinata delle cose,
un simile sviluppo appare non solo logico ma è anche
la conseguenza di differenze vecchie di secoli. La
biforcazione transatlantica decisiva rimane sempre la
pace di Westfalia nell,anno 1648, che per l,Europa ha
marcato definitivamente la secolarizzazione ossia
l,inquadramento vincolante della religione all,interno
dell,ordinamento statale. Sotto questo punto di vista,
gli Stati Uniti non sono affatto un paese
secolarizzato: non solo la religione non è stata
inquadrata in maniera vincolante in un ordinamento
statale ma, all,inverso, lo stato fu fin da principio
subordinato alla religione. La stretta separazione fra
Chiesa e stato serve a mantenere questa sequenza di
rango. Negli Stati Uniti non sarebbe pensabile di
limitare la libertà di religione nel modo in cui è
prevista nella Convenzione europea per i diritti
dell,uomo: l,articolo 9 contiene un,esplicita clausola
secondo la quale la libertà di religione deve essere
delimitata a favore dell,ordinamento pubblico.

L,islam non conosce una separazione fra stato e
religione. Questa condizione di partenza può condurre
a risultati molto diversi tra loro. Da un lato vi è il
fondamentalismo islamico, che è stato in grado di
fagocitare intere nazioni. D,altro lato ci sono degli
stati, nei quali l,islam è religione di stato, che
sono sicuramente tolleranti in materia religiosa e
rispettano la libertà del singolo. L,islam, dunque,
dispone certamente di un potenziale per
l,inquadramento vincolante della religione all,interno
di strutture integranti. Questo, però, solo qualora
possano essere create condizioni favorevoli in vista
di tale integrazione.

Il fondamentalismo islamico impedisce l,utilizzo di
questo potenziale. Ma questa tendenza non è un tratto
dell,islam stesso; il fondamentalismo piuttosto abusa
politicamente dell,islam allo stesso modo in cui i
crociati nel Medioevo hanno abusato politicamente del
cristianesimo e come ancor oggi ne viene fatto
politicamente abuso da parte di alcune sette
protestanti fondamentaliste soprattutto nel terzo
mondo. Così come del cristianesimo viene compiuto un
abuso politico da parte del presidente degli Stati
Uniti, per fondare la guerra in Iraq. Un,analisi
corrispondente potrebbe essere fatta anche per le
altre grandi religioni. Ad esempio, sembra che
l,induismo si manifesti in forme sia secolarizzate sia
non secolarizzate.

Un contributo alla riduzione della violenza potrebbe
consistere nel fatto che l,Europa, quale parte
secolarizzata del cosiddetto «Occidente», collabori
più intensamente su scala mondiale con altri stati
secolarizzati dei più diversi ambiti culturali e, in
particolare, con gli stati secolarizzati del mondo
islamico. In tal modo potrebbe sorgere un «asse della
secolarizzazione». Questo dialogo è altrettanto
importante di quello transatlantico, dove naturalmente
il colloquio e lo scambio devono essere portati avanti
con quegli statunitensi che hanno interesse per il
pensiero europeo. L,Europa ha un,esperienza lunga 350
anni di come la religione può essere inquadrata
statualmente in maniera vincolante. Per quanto
riguarda le guerre, oltre a questo dato, l,Europa si è
caricata di così tanta colpa e sofferenza, che essa è
divenuta oggi capace di trasformare la sofferenza in
senno e avvedutezza.

Ma non solo per questo motivo l,Europa ha, in tale
ambito, una particolare responsabilità; tale
responsabilità le pertiene anche per ragioni
economiche. La politica internazionale funziona oggi
in modo tale che regioni economicamente forti possono
imporsi meglio di quelle economicamente deboli.
L,Europa è l,unico continente che è, al contempo,
economicamente forte e secolarizzato. Nelle maglie di
questa combinazione l,Europa ha una responsabilità
immensa; e da alcune settimane questo continente si
sta assumendo esplicitamente tale responsabilità,
anche se lo fa ancora a tastoni e tentennando. Eppure,
solo qualche tempo fa, nessuno avrebbe potuto
immaginarsi che l,Europa si sarebbe così esposta per
impedire una guerra.

Prospettive europee

Se si guarda alla storia antica di secoli delle
differenze transatlantiche, le controversie
attualmente in corso all,interno dell,Europa non
scuotono poi più di tanto. Gli stati europei sia
quelli dell,Europa occidentale sia quelli della
Mitteleuropa non possono «americanizzarsi», a meno
che non ritornassero indietro fino alle proprie
origini, che continuano a dare loro forma, e non
invertissero in radice l,ordine di rango tra stato e
religione. Ma questo non è immaginabile. Se oggi gli
stati mitteleuropei fanno intravedere una certa
affinità con il minimalismo statale statunitense, è
perché il dominio comunista ha screditato in maniera
profonda lo stato. Paragonati, però, alla storia
secolare dell,Europa, questi rimangono fenomeni di
superficie che si affievoliranno presto,
affievolimento che potrà essere accelerato in
particolare dall,integrazione di molti di questi stati
nell,Unione Europea.

Accanto all,«asse della secolarizzazione», di cui si
è fatto cenno sopra e nella cui costruzione l,Europa
potrebbe intravedere una prospettiva verso cui
muoversi, dovrebbe essere portato avanti anche il
dialogo transatlantico. Reciproche accuse e
attribuzionidi colpe non fanno progredire per nulla
questo dialogo. Esso è possibile su entrambe le coste
dell,Atlantico solo tra coloro che sono disponibili,
nel dialogo stesso, a riconoscere il condizionamento
storico del proprio partner e cercano di comprenderlo.
In questo, i partners europei non dovrebbero avere il
proposito di europeizzare gli Stati Uniti. La storia
del «Nuovo mondo» non lo permette.

Si può invece cercare di far prendere consapevolezza
delle differenze della storia delle idee tra Europa e
Stati Uniti a quegli americani che abbiano un
interesse a comprenderle. Questo implica nuovamente
che l,Europa stessa conosca la propria cultura del
diritto e dello stato cresciuta storicamente, e che
attesti pubblicamente questa cultura del diritto e
dello stato. Non da ultimo, da ciò dipenderà anche se
l,Europa si troverà nella condizione di trarre
conclusioni propositive dalla guerra in Iraq che siano
in grado di contribuire a fare dei passi in avanti, e
di immettere con fecondità queste conclusioni nella
stagione che verrà dopo la guerra, così che esse
possano sostenere e favorire in maniera duratura la
pace in questo mondo.

Gret Haller*

* Gret Haller è autrice del libro Die Grenzen der
Solidarität. Europa und USA im Umgang mit Staat,
Nation und Religion, Aufbau-Verlag, Berlin 2002 (I
limiti della solidarietà. Europa e USA nell,approccio
con lo stato, la nazione e la religione; il libro è
alla terza edizione). Ha conseguito il dottorato in
legge a Zurigo nel 1973 con un lavoro sulle
Convenzioni dell,ONU sui diritti dell,uomo. Dopo
essere stata consulente presso il Dipartimento
federale svizzero di giustizia e polizia per quanto
concerne la Convenzione europea dei diritti dell,uomo,
è stata dal 1985 al 1988 membro del governo della
città di Berna (responsabile per il settore
dell,istruzione); dal 1987 al 1994 è stata membro del
Parlamento federale svizzero, dell,Assemblea
parlamentare del Consiglio d,Europa e
dell,Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione
in Europa (OSCE). Dopo la presidenza del Parlamento
svizzero (1993-1994), è stata ambasciatrice svizzera
presso il Consiglio d,Europa a Strasburgo. Nel 1996 è
stata scelta dall,OSCE quale incaricata per i diritti
dell,uomo per la Bosnia-Erzegovina; ha ricoperto
questa mansione a Sarajevo fino al 2000. Da quella
data lavora come pubblicista.